Senza titolo..., ...ancora nn l'ho scelto! xD

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ilusca
CAT_IMG Posted on 6/4/2011, 22:48     +1   -1




E siamo ad 8!

8. Conoscenza




Ancora immersa nel bacio di Matt, Sakura raggiunse con i bambini il luogo del fatidico incontro con le persone che “potranno sembrarvi scortesi, ma in fin dei conti sono buone”. Non conosceva neanche un membro: tutti visi non noti. Non riusciva a credere al fatto che Matt non li avesse mai menzionati. Contavano così poco per lui?Oppure erano una fetta così importante delle sue amicizie da non permettergli di considerare lei degna di venirne a conoscenza?La cosa che più la meravigliò fu distinguere tratti simili al ragazzo che aveva appena lasciato correre via in uno di quelli che gli si parava dinanzi. Chi sarà?Gli assomiglia molto. Si avvicinò con passo svelto verso il viso di Takeshi, ignorando tutti gli altri, e lo fissò con sguardo deciso e intenso. “Ma che le prende a sta qui?!” pensò lui, meravigliato dal riscontrare su quel bel visino una smorfia arcigna.
«Takeshi?»
“Come fa a conoscermi?” pensò e poi rispose: «Sì.»
Solo a quel punto, quando ebbe ricevuto la conferma che quel biondino altri non era che il fantomatico fratello di Matt, del quale tanto aveva sentito parlare, solo a quel punto si girò verso gli altri e si presentò: «Sakura. Vi basti sapere il mio nome.»
«Cominciamo bene…» commentò Daichi, sbuffando.
Yuzu si avvicinò ai bambini: «Sappiamo già i vostri nomi. Ce li ha rivelati quella persona lì» disse indicando Vit. Quest’ultima infatti aveva elargito un po’ del suo sapere sui soggetti misteriosi che stavano per mettere piede a WoO. Il tutto mentre guardavano, come un film, la corsa di Matt dalla clinica alla quercia, al teatro. «Spero vi divertiate qui con noi» continuò sorridendo.
«Non prenderti tutta questa confidenza con loro. Sta lontano!» Sakura pose il suo corpo a mo’ di muro, spalancando le braccia per creare una protezione. Era ferma nel difendere i piccoli, come una cagna coi suoi cuccioli, da un qualsiasi estraneo si fosse avvicinato loro. Molte delusioni avevano dovuto affrontare nella loro ancor breve vita, perciò installare con sorrisi ipocriti nei loro cuori illusioni di affetto, era proprio ciò che voleva evitare. Esclusi Bryan e Mattias, che avevano i genitori divorziati e vivevano con la mamma il tempo che non passavano in ospedale o a scuola, gli altri erano stati tutti abbandonati di fronte l’entrata della clinica, che all’epoca non era ancora decorata. Anche lei, Sakura, era stata abbandonata. La madre era una prostituta di bassa lega, non guadagnava affatto; e dopo aver compreso che il padre non avrebbe spillato un soldo per mantenere quel guaio in vita, l’aveva lasciata come un pacco bomba fuori il cancello, a 8 anni, dicendogli che sarebbe tornata a prenderla più tardi con un suo cliente. Meglio che abbia scelto di gettarla via, le aveva involontariamente garantito un futuro sereno. Stare al ritmo di una donna in preda alle sue passioni e al denaro, non era per una bambina il massimo della vita. Invece aver incontrato quegli occhi blu, che le avevano offerto un fresco ghiacciolo, in quella sera di un’estate afosa, in cui il bisogno di bagnare la gola era ciò che più premeva al suo corpo, arso dal sole, era stata una fortuna. O forse il destino. Ma ci credeva lei al destino?Aveva permesso a se stessa di dipendere da qualcuno, lei che aveva dormito tutte le notti in quegli 8 anni da sola. Lei che aveva già imparato a fare la frittata. Le uova non mancavano mai, gliele passava la vicina; il pane sì. Lei che si arrangiava alla meno peggio con quei vestiti che da sé aveva rattoppato. Da piccoli si è sempre curiosi di imparare a cucire e spesso si prova ad attaccare i bottoni sui peluche o ai vestiti delle bambole di pezza: anche Sakura lo aveva fatto e a furia di giocare a “mamma e figlia” col suo bambolotto dalla testa penzolante, regalo raccolto dall’immondizia dalla madre in una sera in cui l’ubriacatura le aveva conferito un istinto materno impensato, aveva imparato a rammendare i suoi abitini sdruciti.
«Il tuo regalo di Natale…ahahahahah…» le aveva detto disgustata, porgendole quel rudere di giocattolo, buttato via da un’altra bambina della sua età, che adesso ne stava stringendo uno nuovo. Quel regalo era diventato prezioso per lei, che solo la madre aveva al mondo. Ma da quando aveva incrociato quel mare profondo, in quegli occhi blu intenso, il mondo aveva iniziato a vorticare intorno ad un nuovo asse. Un asse di nome Matt. Come una trottola impazzita, girava, ruotava, sbandava e si rimetteva dritta: tutto intorno a quel perno. Se avesse perso lui, cosa sarebbe successo alla sua vita?Cosa sarebbe accaduto alle sue poche certezze?E’ vero che, da quando abitava nella clinica, era diventata più umana. Riusciva a provare sentimenti veri e non semplice diffidenza. E’ così facile respingere chi ci sta intorno: basta spingere in là con una scusa o una bugia chi ci destabilizza. E’ complicato invece amare qualcuno, lasciarsi amare. Matt le aveva insegnato come si faceva. Matt aveva abbattuto i confini del suo cuore, così stretto e capace di contenere solo indifferenza e odio, astio e disprezzo. Matt le aveva sorriso senza falsità. Matt l’aveva fatta ridere. Matt l’aveva accompagnata a vedere il mare e le aveva insegnato a nuotare. Matt aveva giocato con lei a palle di neve, in quegli inverni gelidi in cui il freddo congelava il suo viso e gli faceva sbucare due grandi schiocche rosse in faccia; in cui Janet urlava di rientrare dentro, perché fuori si ghiacciava e rischiavano di stare male dopo; in cui lui, allegro e ribelle, si divertiva a fare acchiapparello col Dottore, che tentava di riportarlo a letto, nel chiuso della sua cameretta dalle bianche pareti. Che risata angelica aveva. Con quella sua freschezza, era riuscito col tempo ad aprire quella finestra che dava solo su un interno. Aveva rotto i battenti. L’aveva ricostruita, facendo in modo che stavolta desse solo sull’esterno, che presto avrebbe reso un enorme, profumato e colorato giardino. La sua vita non dipendeva…la sua vita era lui. Lo amo. Lo amo. Lo amo. Lo amo. Lo amo. Amava solo lui. Non sarebbe mai esistito nessun altro. Eppure il giardino fuori non era ancora bello come aveva promesso. Mancava qualcosa. Qualcosa sfuggiva.
«Scusa…Volevo solo essere gentile.» Le parole di Yuzu la richiamarono a terra. Aveva già navigato troppo con la mente e col cuore.
«Non mi fido di voi. Non vi conosco. Per questo preferisco che vi teniate a debita distanza», tentò di scusarsi lei.
«Non gli faremmo mai del male», suggerì Rose, cercando di dimostrarsi comprensiva verso quella chiusura completa.
«Non potevamo aspettarci diversamente», schernì Jonas. «Sono fatti della stessa pasta di quello lì. Tanto vanesi e scontrosi.» D’impeto Sakura si diresse nella direzione del parlante e lasciò che la sua mano gli ridisegnasse sulla faccia cinque dita.
SCIAFF.
Jonas restò impietrito.
«Dì un’altra menzogna su Matt e la prossima volta ti ritroverai il mio ginocchio negli stinchi» lo minacciò irata. Jonas riuscì perfettamente a percepire dietro quegli occhi infuocati un sentimento forse più marcato e di tutt’altra natura. Scoppiò in una fragorosa risata.
«Ahahahah…Oddio! Ahahahaha….C’era da immaginarselo!» Osservava il suo volto, ancora imbronciato, e ripartiva a ridere. «Ahahahahah…»
«Cosa ci trovi di così divertente?!» chiese Sakura spazientita.
«Dì la verità» la incitò lui gelido. «Sei innamorata follemente di quello spaventapasseri biondo?» buttò lì, curioso di scoprire quale reazione avrebbe visto dipinta su quegli zigomi falsamente impassibili. Ed ecco. Lo sgomento. L’incredulità. L’ira. La paura.
«Che libro aperto che sei» commentò e poi gli soffiò nell’orecchio: «Noiosa.»
«Brutto stronzo!» lo insultò, cercando di colpirlo con un pugno. Jonas le bloccò il braccio con una sola mano e ridendo, assisté al suo divincolarsi.
«Basta Jonas, lasciala», intervenne Yuzu. Ma già una nuova mano, che non era quella di Yuzu, perché più longilinea e sottile, stringeva il polso del ragazzo. Maeko, con una tranquillità inquietante, lentamente calmò lo spirito dominatore del fidanzato, proibendogli così di rovinare tutta la fatica che stavano facendo gli altri per avvicinarla. Volse poi le pupille verso lei. Sakura era riuscita a dar vita nel suo ragazzo ad una reazione imprevista. Lei che lo conosceva bene, aveva timore di aver perso un punto a vantaggio dell’avversario. Anche se l’accusa era di essere noiosa, in realtà Maeko percepiva bene che Jonas era incuriosito da quella creatura dalle mille sfaccettature e dal fascino selvaggio.
«Perdonalo.»
«Tsè! Non c’era bisogno che ti impicciassi e mi aiutassi.»
«Prego.»
«Non ti ho mica ringraziato?!»
«Non fa niente. Prego lo stesso.»
Quella calma agitava Sakura. Maeko lo capì e affondò definitivamente il colpo.
«Dato che sei così devota a Matt, penso che il minimo che tu possa fare per rendergli le cose più semplici, è smetterla di porti indispettita e menefreghista nei nostri confronti. Oppure gli darai più grattacapi che altro. Matt ha già dei rapporti intossicati con tutti, sicuramente non desidera altro veleno da aggiungere ai suoi giudizi su di noi. Ecco perché, se vuoi aiutarlo, devi mostrarti più disponibile nei nostri riguardi. Qui nessuno vuole far del male a nessuno. Anche se forse ci crederai poco, dopo il piacevole episodio di poco fa. Sta di fatto che ti reputo abbastanza intelligente da comprendere che fa male, anche ai bambini che vuoi tanto proteggere, vederti trattata così. Comunque chiedo scusa da parte di Jonas» e accostandosi in maniera impercettibile, aggiunse, dimodoché ascoltasse solo lei: «Che resti tra noi: è troppo orgoglioso.» Scostandosi, poi ridacchiò un po’: «Uhuh.»
«Che forza Maeko!» si complimentò Yuzu con gioia e più serenamente si avvicinò a Sakura per dirle: «Benvenuta!» e volgendosi verso i piccoli, lo ripeté al plurale: «Benvenuti!»
«Non fare la musona», consigliò Maeko a Sakura, iniziando col dito indice a premerle la guancia, affettuosamente. «Che ne dici di diventare amiche?» chiese speranzosa. In risposta Sakura arrossì, imbarazzatissima. Non era mai riuscita ad avere un’amica donna, a parte Janet. Ma forse quest’ultima non può considerarsi propriamente un’amica. Quella era solo la seconda volta che riceveva quella domanda. Maeko, per tutta risposta, prese quel rossore come un “sì” e saltellando, ritornò ad affusolarsi, come un micio voglioso di attenzioni, di fianco a Jonas. Ottima strategia per fargli sbollire la rabbia, dovuta a quell’indisponente presa di posizione contraria a lui. Nel frattempo pensava a quando sarebbe tornato Matt. Ma fu solo questione di un attimo che la sua mente era già tutta concentrata su quale giochino perverso provare quella sera per calmare Jonas. L’aveva combinata un po’ grossa. Forse avrebbe fatto bene a piangere un po’ quella sera: le lacrime riescono sempre ad impietosire un uomo. Sì, aveva deciso che avrebbe fatto così.

* * * * *




«A chi stai scrivendo?» Jeremy s’era avvicinato quatto quatto a Matt, seduto sul bordo della fontana del parco, dove aveva fissato l’appuntamento con Gen e gli altri quella sera stessa.
«A papà.»
«Perché?» indagò.
«Per dirgli qual è il parcheggio in cui ho lasciato la moto.»
«Ahahahah…Te la sei fregata di nuovo! Ahahahaha…»
«Sì» annuì Matt con una smorfia allegra.
«E perché non l’hai usata per raggiungerci prima?Hai detto che sei venuto di corsa…»
«Infatti. Sono venuto di corsa.»
«E…di grazia…perché?!» domandò, trattenendo la prossima assicurata risata.
«Mi ero dimenticato di averla a disposizione» rispose Matt depresso.
«Ahahahahahahah…Che tipo che sei!!! Prima la rubi e poi cancelli dalla mente il ricordo di avere quel gioiellino a portata di mano. Ahahahahaha…»
«Non ridere!» esclamò Matt, imbronciando il muso. «E’ che non sono abituato all’idea di disporre di un mezzo.»
«Ahahahahahah…»
«Uffa!!! Jeeeemy!!!» e iniziò a picchiarlo, lamentoso. Ormai gli si era quasi steso addosso.
«Uhuhm» tossì Jake per attirare la loro attenzione. «Scusate se interrompo la nuova soap opera “Amore travolgente al tramonto” sulla scena clou, ma non andavamo di fretta?A chi stiamo aspettando?»
«Ahahaha…sì, perdonaci Jake» si scusò Jeremy. «Era da un po’ che non flirtavamo così alla luce del sole.»
«Pessimi!» sospirò l’altro. «Decoro zero, proprio!»
«Daiiiii! Vieni nell’amicizia, Jake! Non fare così il duro» lo incitò Matt, facendogli gli occhi dolci.
«Maledetto te che sei così carino!» e cominciò a fargli il solletico.
«Muahahahaha! V I T T O R I A !» e spalancò le labbra, in modo da far fuoriuscire uno dei suoi più begli smile.
«Diabetici» sentenziò Jeorge.
«Ahahahahaha» risero tutti in coro.
Visti dall’esterno, potevano sembrare una massa di ragazzi con qualche problema di identificazione sessuale, ma in realtà quello era solo un modo per esprimersi affetto. Soltanto fra di loro assumevano atteggiamenti così libertini e libidinosi; normalmente infatti indossavano una maschera di compostezza e perfezione intaccabile. D’altra parte come gruppo musicale, necessitavano di mantenere un’immagine pulita e non troppo preda succosa dei paparazzi. Nelle loro giornate, c’era sempre Matt che ne inventava una nuova per smuovere la noia dei suoi compagni, così disillusi dal mondo. Ognuno di loro aveva uno scheletro nell’armadio di casa, che tutte le mattine, quando prendevano i vestiti puliti, faceva capolino col suo cranio candido e lucido nella loro mente. Ecco perché scovare un divertimento, un trastullo per assopire i ricordi dolorosi, un disinfettante potente per curare quelle ferite, era diventato un obiettivo quotidiano. Meno male che esisteva la musica, col suo ritmo cardiaco e con la propensione a lasciarsi dietro una scia di sensazioni neonate, che andavano ad arricchire il loro piccolo universo.
Nel frattempo, il sole era ormai calato quasi del tutto, quando in lontananza riuscirono a scorgere tre sagome, di cui una valeva per due da sola. Il corpo di Gen infatti era costituito per la maggior parte da lipidi in bella mostra, quasi assomigliava ad una palla da bowling. Gli piaceva mangiare sin da quando era piccolo; la madre era una cultrice della buona cucina, quindi non erano mai mancate le prelibatezze sulla tavola di casa sua. Invece Mizo era l’opposto: mingherlino e slanciato, aveva tutto fuorché i -muscoli. Aveva un metabolismo molto veloce e praticava attività fisiche, tra cui il calcio, ormai da anni; perciò nessun chilo riusciva a imballarsi lì sulla sua carne, per farlo pesare un po’ in più. La fidanzata Chiyuki si addiceva perfettamente alla sua figura: piccola, bassina, aveva due guance molto rotonde e quando la si guardava in viso, un senso di morbidezza ti invadeva. La sua scarsa altezza era sempre stata un complesso, anche perché non le permetteva di potersi vantare di essere bella, ma solo “carina”. Nell’insieme era comunque molto, molto affabile. Sua caratteristica principale era la simpatia: riusciva sempre a stare su di morale e raramente la si vedeva con il muso appeso. Al tempo in cui aveva conosciuto Matt, si divertiva molto a tener dietro a quello spirito spensierato e luminoso dell’amico; avevano infatti instaurato un rapporto di completa parità: nessun sorriso cadeva nel nulla, ma veniva contraccambiato puntualmente dall’altro. Proprio per questa sua particolare sensibilità vivace, Chiyuki riusciva a comprendere meglio i sentimenti di Matt, soprattutto percepiva perfettamente quand’è che il suo umore allegro nascondeva qualcosa d’altro. In quel periodo in cui i maggiori dei suoi problemi erano di farsi le trecce ai capelli o imparare a fare le addizioni in colonna, il suo interesse era molto propenso a farsi stuzzicare dal suo compagno di banco, biondo, dolce e geniale. Tanto geniale da risultare quasi diabolico a volte. Attraverso le sue giovani pupille, quell’estro veniva filtrato e ridisegnato: e così Matt diventava un eroe, un cavaliere, un mago, un atleta, un artista. Artista c’era diventato davvero. Ora quell’originalità la incanalava tutta nella musica. E quanto piaceva a lei quella musica.
Appena riuscì a mettere a fuoco la figura serafica del compagno, iniziò a saltellare e ad agitare in alto la mano per salutarlo. Impossibile da non vedere, Matt ricambiò il gesto affettuoso, agitandosi con foga anche lui.
«Maaaaaaaaaaaaaaatt!!!» urlò felice Chiyuki, correndogli incontro, per ricevere finalmente quell’abbraccio tanto a lungo agognato.
«Chiyuuuuuuu!!! My darling!!!» la prese al volo Matt, fra le sue esili braccia. Quanto calore, sentiva lei. L’amicizia di un tempo era tutta lì. Non era cambiato nulla, o almeno le piaceva pensare così.
«Quanto tempo, brutto beduino!» lo redarguì Gen, suonandogli una pacca al limite della delicatezza, sulla spalla.
«11 anni» confermò Mizo, un po’ urtato dalla facilità con cui la fidanzata si strofinava sul petto del cantante più famoso della loro generazione. Incantata a contemplare quel volto così familiare, Chiyuki si lanciò in complimenti ed effusioni varie:
«Certo è che…sei diventato bellissimo! E anche famoso! Ho sempre saputo che avresti fatto successo in qualche modo. Ho tutti i tuoi cd!»
«Diciamo che la tua voce non poteva continuare a lungo a rimanere nascosta! Una qualsiasi persona che abbia orecchio, avrebbe compreso che prezioso gioiello sono le tue corde vocali» commentò Gen.
«Dai che all’epoca non ero così bravo» rispose Matt, un po’ arrossito, ma compiaciuto.
«Che fai?Non ci presenti?» intervenne la voce di Jeremy da dietro le sue spalle. Si era completamente eclissato dal suo gruppo.
«Ah sì! Sì! Sì!»
«Non ce n’è bisogno. Noi vi conosciamo già» e indicandoli ad uno ad uno, ne decantarono i nomi.
«Noi però non sappiamo chi siate voi» ribadì Julian, curioso di comprendere che ruolo avessero svolto quelle persone nella vita del suo beniamino.
«Noi siamo suoi amici di infanzia, giusto Matt?!» chiese all’amico, che annuì. Gen continuò: «Io sono Gen, vengo dalla prefettura di Rosaki, nel nord del paese. Matt ed io abbiamo frequentato insieme asilo e i primi due anni delle elementari. Invece questi due qui sono Mizo e Chiyuki.» La coppietta si inchinò con un «Piacere!» molto composto. «Provengono dalla vecchia capitale e sono stati in classe con noi solo un semestre in seconda elementare.»
«Detto praticamente, voi conoscete il Matt precedente al mio incontro, quello che più mi affascina e di cui non conosco quasi nulla» affermò Jeremy e nella sua mente constatò poi: “E io di lui vorrei sapere tutto”.
L’aria si era un po’ appesantita. Matt percepì bene lo stato d’animo di quella persona che per lui ultimamente rappresentava il mondo. Sapeva in particolar modo quanto Jeremy tenesse a conoscere tutto di lui. Ma aveva comunque perseverato nell’essere misterioso, nell’omettergli particolari della sua vita prima di incontrarlo. In realtà l’aveva conosciuto già all’età di tre anni, quando stringendo la mano grande e longilinea del papà, era entrato nel bordello gestito dal di lui padre; quel rumoroso batterista, che alla sola età di 4 anni, già sbatteva con decisione e precisione le bacchette sulle casse di risonanza e sui piatti, gli si era presentato con un’aria indifferente e arrabbiata col mondo. Così capace di condizionarne gli stati d’animo, così abile nello stuzzicare il suo interesse, così esperto nel renderlo geloso, Jeremy era l’esperimento più bello che Matt avesse mai condotto. Spingeva i suoi sentimenti fino al confine di una relazione omosessuale. Ci andava a letto. Ci faceva la doccia insieme. Ci camminava mano nella mano. Leccava il suo gelato e beveva dal suo stesso bicchiere. Si addormentava nel prato della scuola fra le sue gambe. Lasciava che gli accarezzasse i capelli, come solitamente un uomo fa con la sua donna, per sentirla sua.
«Che ne dite di andare?!» incitò, stracciando la coltre di gravità che si era originata.
«Hai ragione, Matt! Su! Conducici tutti in questo universo paranormale che conosci solo tu!» scherzò Jeorge, rasentando però la serietà nel tono con cui pronunciò la sua battuta. Restava convinto che Matt avesse perso qualche rotella per la strada, mentre veniva di corsa alla sala prove. D’altronde non ne era mai stato davvero dotato: il creatore gli aveva risparmiato la sanità mentale.
«Ma dov’è che stiamo andando?» così espresse Mizo il dubbio di tutti. «Che fai?!» domandò poi, notando la posa di Matt con la mano poggiata su quella quercia, che non aveva nulla di speciale, se non l’essere l’unico albero di quel genere in quel parco.
«Fatelo anche voi! Su! Su!»
Lo scetticismo dilagava.
«Matt ti senti bene?!» si impensierì Jeremy.
«Certamente» rispose lui pazientemente e con altrettanta sopportazione raccolse le mani di ognuno dalle tasche o sollevò quelle penzolanti sui fianchi, appoggiandole con leggerezza sul ruvido tronco.
«GO!»
SWAP.
 
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ilusca
CAT_IMG Posted on 14/4/2011, 20:11     +1   -1




:may:

9. Storie




Luoghi misteriosi e inesplorati, le lagune abitate dai Colori erano la leggenda preferita dai piccoli Others. Spesso, nelle sere di luna piena, di fronte ai falò, come fossero storie di paura, si facevano narrare i segreti di questi territori. Come potrebbe sembrar ovvio, tutte le notizie che si avevano, erano frutto dell’invenzione comune. Nessuno era mai riuscito a penetrarvi, perché nessuno conosceva l’esatto luogo di ubicazione delle case dei Colori. Quest’ultimi, dal canto loro, non osavano minimamente rivelare dov’è che abitavano, poiché erano soliti essere schivi nei confronti del resto di WoO. E questo perché le loro vite erano state troppo intricate e complicate per poter essere comprese dalla moltitudine di esseri che costellavano quel loro universo e che sapevano ragionare soltanto in termini personali, senza riuscire perciò a conciliare dinamiche più ampie nei loro pensieri.
La laguna più gettonata nei racconti era sicuramente la Laguna Blu, dove si diceva risiedesse Mea, il presunto capo dei Colori. In verità, ognuno di essi agiva come unità a sé stante, preferivano evitare contatti anche fra di loro; quindi non esisteva un vero e proprio leader. Nonostante ciò, una miriade di fantasiosi eventi s’era venuta a creare intorno alla figura di questo fantomatico capo. Si raccontava avesse un castello stracolmo di ricchezze, un’orda di sudditi che lo servissero, un esercito di draghi alati che lo accompagnassero in ogni sua avventura. E lui di avventure incredibili ne viveva quotidianamente: sconfiggeva i reami malvagi della regione di Utide o attraversava il Muro di Lacrime per raggiungere la terra dei morti, a Litico; non si sottometteva per nessuna ragione ai Virtuali e li combatteva in qualsiasi luogo Omega si posasse e respirando sott’acqua, riusciva a stringere alleanze segrete con il mondo subacqueo di Astal; ed altro, altro, altro ancora. Si diceva sapesse anche volare. Si diceva avesse 300 mogli. Si diceva avesse quattro paia d’occhi. Ed altro, altro, altro ancora.
Mea pensava nel suo piccolo che la fantasia fosse un’arma davvero potente: con pochi tocchi creativi, si riusciva a dare un’idea completamente differente della medesima cosa che si osservava. Si riusciva anche a dare risvolti nuovi a situazioni stagnanti o colore ad un panorama grigio. Spesso si viene derisi dalla gente, che razionalmente cerca di mantenersi con i piedi più saldi per terra, se si dà vita ad arzigogolate circostanze che non hanno capo né coda. Spesso si viene emarginati dalle persone, che, cercando di preservare la loro integrità mentale, si ostinano ad oscurare un cosmo di illusioni dai colori dell’arcobaleno, se si desidera trovare sempre qualcosa dietro, di puramente fiabesco, alle cose della vita. Prendiamo come esempio in esame il caso del “principe azzurro”. Fin da quando si è piccole, ci si aspetta che un bel giovanotto su di un cavallo bianco ci rapisca e porti in una dimora lontana, dove insieme si potesse consumare questo forte sentimento. Questo principe è perfetto. Non ha difetti. E’ sempre sorridente e non commette mai errori. Sa agire in sintonia con il nostro modo d’essere. E’ coraggioso. E’ bello. E’ atletico. E’ intelligente. Non egoista. Non permaloso. Non irascibile. Mai la pigrizia lo avvinghia. Porge la guancia anche al nemico. Troppo perfetto forse per esistere sul serio, ma nella mente di noi piccole bambine, cresciute a pane e Cenerentola, è logico esista. Col tempo il cavallo è diventato una moto, trattata come fosse la sua reale fidanzata: lucidata di tutto punto, diviene il vero oggetto di vanto del principe. La bella dimora è invece uno squallido appartamento monolocale nel centro della città, dove il rombo delle auto e i campanelli delle biciclette, con le voci dei passanti, rendono l’aria intorno troppo poco intrisa di privacy. La lontananza in cui ci si voleva ritagliare uno spazio per vivere il proprio amore, viene conseguentemente abolita e bisogna perciò imparare a saper condividere il proprio principe con gli amici suoi, le amiche nostre, la famiglia di lui, la mia famiglia, il cane, la vicina che chiede lo zucchero, i colleghi di lavoro, il barista all’angolo dove tutte le mattine lui compra il suo cornetto. Il principe, a lungo andare, inizia ad assumere caratteristiche tipiche dell’ego umana e tutti quegli atteggiamenti a tratti divini scompaiono per dare spazio all’egoismo e all’egocentrismo. Quell’azzurrità del principe svanisce. Le fantasie che tanto ci divertivano da bambine e alimentavano quei sogni di gioventù, sono state ingabbiate nella dura realtà del mondo. Nella impressionante e severa natura dell’uomo. Ed è obbligatorio quasi che accada. Che succeda che ci si dimentichi di quando si correva dalla mamma urlanti, dicendo: “Mamma! Mamma! Voglio sposare anch’io il principe azzurro!”. Come se ce ne fossero al mondo così tanti da soddisfare i desideri di tutte le piccine viventi. La mamma sorrideva sempre e consigliava di aspettare. Aspettare cosa?Che a scuola, un bimbo più disincantato di me, mi dica che il principe azzurro non esiste?Che la maestra insegni che è solo una fiaba?Aspettare di scoprire per caso una tua compagna che si bacia uno, due, tre, quattro e via dicendo, ragazzi? Di venire additata come “colei che ha la testa fra le nuvole”?La sognatrice?L’illusa?L’aliena?E così, crescendo, si scopre che per la fantasia non c’è più poi così spazio. Potere preservarle un posticino nel nostro modo di ragionare su noi stessi e di rapportarsi a ciò che è fuori di noi, diventa un’impresa. Ma se si riesce ad esser capaci di portarla a compimento, la vita non si tingerà di colori noiosi e poco esaltanti, ma probabilmente assumerà quel poco di brio, che solo l’immaginazione altra riesce a darti.
Tutte quelle invenzioni che gli vorticavano intorno, a Mea non dispiacevano in fin dei conti, perché tagliandosi sempre fuori dal mondo, con quelle storie poteva rientrare un po’ nella vita degli altri. Era sempre vissuto solo. Non era a conoscenza né dell’attimo esatto in cui fosse nato, né di chi lo avesse generato. Non sapeva assolutamente chi fossero i suoi genitori. E quindi, chi fosse lui. Sapeva solo di essere un Colore. Punto. Forse però non era corretto dire che vivesse in solitudine, perché nella sua grotta, che non era un castello né un altro tipo di costruzione megagalattica, conviveva con una sottospecie di suddito dal carattere di un drago. Pura era una degli ultimi superstiti della stirpe dei Lupi. Condivideva l’alloggio con Mea, in quella laguna dalle acque blu, dal cielo blu, dalla sabbia blu, dal sole blu, dalle montagne blu. Il loro rapporto lo si poteva definire amicizia, ma, inizialmente, per domare quella leonessa sfrenata, Mea aveva dovuto impiegare tutta la sua persuasione per convincerla che fra loro c’era completa parità. Aveva dovuto pure erodere, nel corso della loro convivenza, quella montagna di diffidenza che il lupo aveva accumulato, date le esperienze vissute con soggetti estranei alla sua stretta cerchia familiare, composta da altri tre soli elementi oltre lei. Mentre Mea aveva sembianze umane, Pura era un vero e proprio felino: con artigli affilati, una criniera raccolta in treccine e due corna inarcate che le spuntavano fra i capelli, il suo muso da lupo stonava in tutto quel contorno di specie differenti. Nonostante ciò, nell’epoca d’oro del Regno di Lion, era considerata la più bella lupa, dal fascino selvaggio, che avesse mai cavalcato le lande gelate della loro terra. Anche Mea se ne sentiva attratto, ma aveva sempre frenato il suo cuore, perché non si stimava degno di avvolgere tutto quel vissuto in un sentimento, forse troppo soffocante, come l’amore.
Ultimamente, a tener loro compagnia, era venuto uno dei due fratelli di Pura. Kid, dalla folta chioma argentata e dal corpo completamente blu, con una pietra bianca incastonata in fronte e tre code sottili che gli partivano da dietro, col suo passo felpato e la sua presenza regale, aveva invaso il loro microcosmo. Stava aspettando. Chissà poi chi stava aspettando. Nel suo cervellino, aveva considerato bene che, come luogo d’attesa, soltanto la Laguna Blu poteva offrirgli una certa tranquillità. Così, si stendeva fin dal mattino sotto i raggi blu a fantasticare sul momento in cui avrebbe rincontrato quella persona. L’ultimo ricordo che ne aveva era un odore pungente e nauseante di ruggine. Di sangue. Il suo corpo che si accasciava al suolo. E poi nulla. Voleva rivedere il suo sorriso. Tutto qui.
«Si può sapere che gusto ci trovi a trascorrere le tue giornate così?!» A Pura dava enormemente fastidio il fatto che il fratello sprecasse tempo prezioso per la loro vendetta nello gingillarsi al sole. Stava stendendo il bucato. Mea era solito lavare i panni nelle acque blu della laguna e lasciarli lì, a prendere aria.
«Per piacere, Pura, non mi annoiare.»
«Nemmeno stesse aspettando chissà chi!» disse fra sé e sé, la bella e raggiante lupa. «Sappi che non mi arrendo, eh?! Riuscirò a trascinarti via da questa pigrizia prima o poi!» urlò rivolta a Kid. Ma il suo biasimo fu come se gli rimbalzasse addosso.
Nel frattempo Mea era rincasato da una delle sue ronde, per assicurarsi che nessun curioso si avvicinasse alla laguna.
«Hai l’aria di uno che ha appena visto la morte in faccia» lo stuzzicò quella sfinge giacente sulla sabbia blu, non appena notò l’ombra sul volto del suo ospite.
«In realtà poco c’è mancato che non fosse così.»
«Eh?!» La meraviglia destò Kid. «Cos’è successo?! Su racconta!» Era voglioso di novità.
«Te ne ho mai parlato del bosco alle spalle della Montagna Blu?»
«Be’…sì.»
«Cosa ti ho precisamente detto?»
«Che Pura ed io dobbiamo evitare di andarci» rispose. Cercando di ricordare le parole esatte di Mea, aggiunse poi: «”Se non desiderate mandare all’aria tutta la vostra segreta vendetta, imponetevi il divieto di andare lì.” Sì…più o meno era così…»
«Bene. Ora più che mai, non dovrete andarci. Anzi, vi vieto io stesso di addentrarvici. Vi fermerò in ogni modo, anche a costo di farmi sbranare da voi, se fosse necessario.»
«Che significa?» si introdusse Pura nel discorso.
«Significa quello che ho detto.»
«Non pretenderai mica che mia sorella ed io accettiamo questa proibizione senza alcuna sensata spiegazione, spero?» Kid era fermo nel ricevere qualche informazione in più. Di fronte a tanta decisione, Mea non poté che cedere: «Ok. Hai ragione. Allora vi spiegherò tutto. Ma prima fatemi riposare un po’. Sono stanco. E’ stata più dura che mai, questa volta, scampare a tutte le telecamere.»

* * * * *




Non appena videro spuntare da lontano la chioma bionda del loro beniamino, i bambini gli si diressero tutti incontro, correndo. Mya, che raggiunse per prima il traguardo, ebbe l’onore di salirgli in braccio e godere da più vicino di quella sensazione di tranquillità, che il suo cuoricino agognava ormai da un po’. Gli altri si dovettero accontentare di nascondersi dietro le sue gambe o di stringere l’orlo della sua maglietta. L’importante era toccarlo. Come nel voler instaurare una comunicazione tra la sua persona e le loro; come se dando alle mani il piacere del tatto riuscissero a collegare attraverso un filo invisibile i loro sentimenti ai suoi, per trasmettergli così ogni emozione, forte nel petto e contorta da esplicare a voce; come se volessero attaccare la spina nella corrente e ricaricarsi di elettricità; così insistevano con le dita nel brandire una qualsiasi parte di lui fosse a portata di tocco.
«Che c’è?» chiese Matt, preoccupato, ma al contempo sollevato nel vederli stare tutti bene. «Vi hanno fatto paura? Sono stati cattivi?» chiese scherzando, con voce suadente.
«Mya ha avuto paura…» disse la fanciulla fra le sue braccia e, portandogli le sue di braccia al collo, gli scoccò un bacio sulle labbra.
“L’ha baciato in bocca!” pensarono tutti, meravigliandosi, ma non osando pronunciarsi. Erano d’altronde estranei a quel gioco. Chiunque avesse avuto con Matt un rapporto intimo, che potesse essere dovuto alla parentela o all’amicizia, avrebbe compreso quel bacio. Matt, infatti, aveva l’abitudine, ereditata dai genitori, di baciare sulle labbra le persone a cui voleva bene. Gli sembrava di esprimere così un sentimento di ringraziamento o d’affetto, caricato di un qualcosa di più profondo. Come se il suo cuore sapesse provare solo amore. E nulla più.
Jeremy colse appieno quello stupore generico e, volendo continuare su quella scia scherzosa, si fece dietro Matt e presolo per il mento, gli girò il volto e lo baciò anche lui in bocca.
«Jeeeeeemy!!!» lo sgridò Matt, scostandolo. Notò subito che una sottospecie di sgomento, misto a dissenso, si era dipinto in faccia ai presenti. Puntò i suoi occhi infastiditi sull’amico, inarcò poi le sopracciglia e sorrise.
«Ero geloso, eh Mya?!» chiese aiuto Jeremy. E così prese a fare nasino e nasino con lei, che arrossì dolcemente e si portò le manine davanti alla bocca, tutta imbarazzata.
Matt si sentì strattonare da dietro.
«Sakura ha litigato con quello lì» disse Aki, indicando Jonas.
«Aki, non si indicano le persone» lo rimproverò morbidamente Matt.
«Scusa.»
«Dopo mi spiegate meglio ok?Su, dai adesso. Va tutto bene» li rassicurò, dando ad ognuno una carezza fra i capelli. «Ci sono qua io, ora.» Rivolgendosi al resto, disse: «Arriviamo a noi. Penso abbiate già avuto il piacere di scambiare qualche chiacchiera con Sakura» constatò e subito la vide accostarglisi di fianco, appoggiare la sua testa sulla sua spalla sinistra, tutta rossa in viso.
«Che hai?» le domandò, un po’ preoccupato e un po’ stupito nel riscontrare quel colorito sul suo volto. Solitamente era lui che riservava quel rossore. Non ottenne risposta che chiarisse.
«Bah» sospirò. «Ok. Questo è il gruppo con cui suono» e indicandoli, li presentò: «Qui, attaccato a me come una sanguisuga, c’è Jeremy Aoyama, il batterista.» Jeremy lo ignorò e continuò a giocherellare con i suoi capelli, mentre si appoggiava sull’altra spalla libera con il braccio. «Loro due mano nella mano sono Jeorge Haomori, il bassista, e Jody Anakomachi, la ballerina…»
«Ciao!!!» salutò calorosamente lei, mentre il suo ragazzo li snobbò di brutto.
«…mentre gli altri due là, Julian Allevi, il nostro manager e Jake Otohori, il chitarrista.»
«Piacere di conoscervi» rispose educatamente Julian. Jake si inchinò soltanto, più per scherno, che altro.
«Questo terzetto qui, invece, è costituito da tre miei amici di infanzia: Gen Stevenson, Mizo Sawate e Chiyuki Noto. Credo che solo Takeshi sappia di voi.»
«Ma sicuro!» confermò il fratello. «Vi ricordo perfettamente, nonostante non vi veda da quando ero un moccioso così» e fece segno verso Mattias, che prontamente rispose: «Non shono un mocciosho. Diciglielo, Matt, diciglielo!»
«DIGLIELO!!!» lo corressero in coro Bryan e Hime.
Matt scoppiò in una fragorosa risata e, asciugandosi le lacrime dagli occhi, calmò il più giovane presente lì, sollevandolo fra le sue braccia e poggiando la sua fronte contro quella di Mattias.
«Confermo io per te: non sei un moccioso. E nemmeno un piagnucolone.»
«No…n…» tirò su col naso. «No…» e nascose la sua testa nella spalla di Matt, cercando di celare le lacrime che scorrevano giù copiose.
«Mattias è un ometto» lo consolò Matt, con molta calma, come se sapesse perfettamente come fare per tranquillizzarlo. Come se lo facesse da sempre.
«Oddio, che ho combinato! Non volevo intendere che lo era» commentò depresso Takeshi. «Non era mia intenzione offenderlo.»
«Mattias lo sa, vero?» gli domandò Matt, mentre gli carezzava il capo. «Mattias sa perfettamente che Takeshi non voleva fare il cattivo. Sa bene che nessuno pensa che lui sia un moccioso. Vero?»
Mattias alzò il suo visino e spalancò la bocca in un grande sorriso. Takeshi si rasserenò nel vederlo.
«Shì!» annuì il piccolo contento. Contento di aver assaporato un po’ di quell’affetto anche oggi. Era diventato quasi un obiettivo giornaliero riuscire a cogliere un pezzo di cuore di Matt. Un pezzo di cuore che fosse fatto di parole, sorrisi, carezze, sguardi, consigli, o altro. Bastava anche solo incrociare i suoi occhi per un secondo o le sue labbra gioiose, per sentirsi sprizzare improvvisamente di voglia di vita.
«Ahahahahah…sono cambiati i soggetti di cui prendersi cura, ma tu resti sempre lo stesso, Matt!» constatò felicemente Gen.
«Aah, il tuo senso paterno…» lo canzonò Chiyuki, sospirando.
«Ma va’!» contraccambiò ai complimenti Matt.
«Comunque è vero Takeshi: non ci vediamo da quando avevi 3 anni.» Mizo riprese il discorso precedente, ormai caduto. «Però Matt, ti sbagliavi su una cosa: c’è qualcun altro che conosciamo.»
«Davvero?! Impossibile!» Matt entrò in agitazione. Gen, Chiyuki e Mizo si scambiarono sguardi perplessi. Poi chissà. Quell’ansia fece capire loro tutto.
«Sì, Matt, lui» disse Gen puntando il dito contro Daichi. Quest’ultimo si sconvolse non poco. «Ci è capitato di fare qualche partita di calcio insieme alle elementari. Daichi, giusto?Eri nella sezione A, mentre noi nella B e, dato l’astio fra i nostri maestri, ci capitava di giocare contro. Non ricordi Matt?!»
«Cavolo che memoria! Giuro che non ricordo affatto.»
«Daichi, eri il rivale preferito di Matt, impossibile dimenticarti!» esclamò Chiyuki.
«Aaaaaaaaaaah!» urlò quest’ultimo, in preda al panico. «Ecco! Proprio quello che temevo! Non rimembrate momenti non poco imbarazzanti della mia passata gioventù, vi prego» li implorò Matt, fingendo disperazione.
«Ahahahahahaha…» risero in corso. «Era questo che non volevi far saltar fuori! Ahahahaha…»
«Daichi. I-GNO-RA-LI!» scandì bene Matt, al limite di sopportazione.
«Per niente! Grazie di avermelo ricordato! Lo prenderò in giro in eterno» rise invece lui compiaciuto.
«Uffa» sbuffò l’altro, scontento del fatto di aver scoperto al “nemico” il fianco così facilmente.
«Anch’io conosco qualcuno, anche se ha fatto finta tutto questo tempo di non ricordare chi fossi» affermò Jonas, sogghignando un po’.
«Sì. Me.» Gli occhi di Matt si sbarrarono non appena udì la voce di Jeremy confermare quell’affermazione. «Avrei preferito tacere.»
«EH?! Vi conoscete?! E…com’è possibile?!» L’amico era basito. Non riusciva ad immaginare una qualche conversazione fra loro, figuriamoci una conoscenza.
«Siamo stati un anno nella stessa classe, prima che mi trasferissi allo “Zaya”. Alle elementari» gli spiegò Jeremy.
«Così dispettoso e scontroso, non hai retto molto nella mia scuola» provò a prenderlo in giro Jonas.
«Ah. Ah. Ah. Quanto sei spiritoso.»
«Be’, non puoi negare che l’espulsione ti abbia danneggiato non poco. Sei un anno indietro per caso?» lo provocò.
«No, mi dispiace per te, ma sono perfettamente in regola. Ti piacerebbe potermi deridere» disse, rimandandogli indietro la provocazione.
«Sai che mi frega. Avere a che fare con gentaglia come te è l’ultimo dei miei desideri.»
«Ok, ok, ok. Il discorso sta prendendo una brutta piega.» Come sempre, Yuzu cercò di pacificare le parti. «Che ne dite piuttosto di arrivare al punto della questione? Forza Vit: perché siamo qui?» Riuscì con suprema maestria a deviare l’argomento su ciò che realmente doveva interessare tutti. Vit, che nel frattempo si stava divertendo non poco ad assistere a quel particolare incontro, si sentì per un attimo spiazzata nell’essere tirata in ballo così improvvisamente. Seppe però ricomporsi subito, lieta di chiarificare finalmente i loro dubbi.
«Come primo compito, debbo dare il benvenuto a coloro che or ora sono entrati a far parte di questa compagine. Con mio sommo piacere, vi auguro di trascorrere in questa sede attimi felici o perlomeno intensi. Io reputo che un’esperienza vada ricordata con particolare commozione, non solamente quando questa è piacevole, ma quand’anche fosse stata dolorosa o sgradevole, se vigorosa, è da considerarsi ugualmente meritevole di memoria. Non volendo indugiare a lungo su mie personali considerazioni, passo celermente ad esplicarvi l’argomento della vostra chiamata.
Alcuni di voi non sanno cosa WoO sia. Per poter permettervi di capire l’essenza di questo nostro universo, starei forse anni a raccontare. Desidero però essere semplice e diretta, per non perdermi nei meandri di un discorso di tale difficile portata,e al contempo di essere chiara. Il nostro mondo non è il progetto di un Dio misterioso, che si nasconde ai sensi umani. Non è nemmeno il frutto di una natura implacabile, che origina dal nulla la vita. E neanche è il risultato di un’esplosione antica di corpi celesti o il prodotto di uno scontro di materia. In codesto luogo, non esiste il tempo. Noi non invecchiamo mai. Nasciamo piccoli, cresciamo fino ad un certo punto. E da lì, finché la nostra vita non ci viene strappata via da mani altre, continuiamo imperterriti a vivere. Non esiste lo spazio. O il concetto di dimensione. A dimostrazione di ciò, questo terreno su cui posate i piedi, che di nome fa Omega, viaggia per tutta WoO, senza mai mostrarsi nei cieli. Esistono però i suoni. E con i suoni, i colori. Con i suoni e i colori, gli odori. E con i suoni, i colori e gli odori, esistono i gusti. Se vi toccassi, anch’io sentirei un leggero fruscio sul mio palmo. Avrete dunque compreso che anche noi Others sentiamo. E proviamo pure. Proviamo sentimenti. Emozioni. Sensazioni. Impressioni. Possediamo quindi un cuore. In egual misura lo possediate voi.
Anche WoO ha un cuore. Che pulsa. Che batte. Che sente. Che prova. Che tuttavia sta lentamente smettendo di vivere. La vostra missione sarà proprio questa: ridonare la vita a questo cuore.
Nell’esatto momento in cui ha cominciato ad accusare la stanchezza, WoO, come una bussola impazzita, ha lasciato che penetrassero nel suo popolo concetti forse più familiari a voi umani: egoismo, astio, invidia, potere, prevaricazione, disperazione, megalomania. E con essi: guerre, sfide, battaglie, litigi, combattimenti, spade che si incrociano, parole taglienti come le lame, spinte verso la morte. L’amicizia è morta. Una volta che essa è scomparsa da questo mondo, nulla ha più un senso.
Gli Others si nutrono di amicizia.
Immaginate la Terra senza cibo. Se voi smetteste di mangiare, il vostro corpo si indebolirebbe, fino a perire. La medesima cosa sta accadendo a noi. La pace di WoO è stata sconvolta. Gli Others hanno imparato qual è l’idea di Io. Non sono più capaci di condividere. C’è sospetto. Zizzania. Non sanno più come si fa a convivere.
Quando questo processo ha avuto il via?
Probabilmente molto tempo addietro.
Quando ci siamo accorti che qualcosa era cambiato?
Appena siamo entrati in contatto con voi.
Dove finiremo se la missione non avrà buon esito?
Presumibilmente moriremo tutti.
Cosa possiamo fare per arrestare questa disperata discesa all’inferno?
Come si potrà ripristinare la pace in questo mondo?
Cosa centrate voi qui?
Coinvolgervi è stata una mia scelta. Aspiro ad unire a questa missione la ricerca di mia sorella, Any. E’ una certezza di noi Virtuali la presenza di lei nel vostro mondo, perché in questo nostro, non percepiamo più la sua aura. I Virtuali comunicano fra loro telepaticamente, attraverso l’abilità di avvertire la presenza dei propri simili. La sua non ci è possibile coglierla. Ormai disperiamo nello scoprire che è qui.
In verità, Any è un elemento chiave della missione, per un motivo molto semplice: lo era all’epoca della sparizione, lo è ancora adesso, custode di uno dei Sette Grandi Diademi del Regno dei Lupi, che racchiudono la storia di WoO.
Il vostro compito è per l’appunto ritrovare i Sette Grandi Custodi. Tuttavia è mia opinione che alcuni di essi si faranno vivi da soli, ragion per cui, oltre ad Any, non vi chiederò di spostarvi da Omega, rischiando la vostra incolumità. Resteremo impiantati qui e cercheremo di frugare nelle vostre vite, alla ricerca di uno dei custodi fra voi. Il prediletto. Elemento essenziale per la nostra missione.
Domande?»
 
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Lady Khasia
CAT_IMG Posted on 20/4/2011, 18:41     +1   -1




:fuuu:

Hai aggiornato!

:fuuu:

E io sono ferma al capitolo 5!

:fuuu:

Ora salvo tutto e nei prossimi giorni leggo e commento!
 
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ilusca
CAT_IMG Posted on 20/4/2011, 18:58     +1   -1




Sono arrivata al 9° XD
Mi ci sto mettendo molto di impegno >_<

Dal 5, sono riuscita a farne uscire uno a settimana ^^
 
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ilusca
CAT_IMG Posted on 21/4/2011, 22:56     +1   -1




E anche il 10 l'ho completato @.@

10. Legame




Alla domanda “Domande?”, solitamente ci si domanda: da che domanda inizio?Tutti i pensieri accumulati nel mentre che l’espositore parlava, sembrano scomparire nell’esatto istante in cui ti richiedono lei: la famosa domanda che rompe il ghiaccio. Quei particolari che si erano notati non li si riesce quasi mai subito a concretizzare in un’effettiva domanda. E allora?
“Speriamo che qualcun altro cominci al posto mio…”: un unico pensiero si innalzò dalle menti di tutti i presenti. Vit comprese la tensione che il suo discorso aveva originato e si pose in attesa.
Il primo a profferir parola fu Dicon. Era stato sempre in silenzio fino a quel momento, a guardare. Era risaputo fosse un ottimo osservatore; Yuzu si divertiva spesso a prenderlo in giro, quando sull’autobus si metteva a fare la radiografia dei passeggeri che salivano.
«Lo vedi quel vecchietto in prima fila?Ha un gatto. Ha tutte le mani graffiate. Deve averlo comprato da poco e ancora non è riuscito a farlo abituare. Ah! Ah! La vedi quella signora che adesso si è alzata?Secondo me ha litigato col marito. Ha un’aria cupa e un minestrone pronto da cucinare. Si vede la busta delle verdure surgelate. E quel ragazzo lì?! Probabilmente è stato appena scaricato dalla fidanzata. Tende a guardare spesso il telefono con aria cupa e a sospirare dopo.»
«E se fosse gay invece?»
«No, Yu. E’ stato scaricato da una donna! Ma comunque se fosse gay, allora sospirerebbe perché non riesce a confessare ai genitori la sua omosessualità.»
«Chiediamoglielo!»
«No, Yuzu! No…» sussurrò fra i denti Dicon, incapace però di fermarlo.
«Scusa, sei gay?»
«Ma che cazzo dici, fighetto, eh?!» disse quello di tutta risposta.
«Scusalo! Il mio amico è affetto dalla sindrome di Gilles de la Tourette.»
«E chi cavolo è?! Ma a chi volete prendere in giro?!»
«Certo che sei un cafone! E’ logico che la tua ragazza ti abbia mollato!»
«YUZU! Cacchio dici?! Scendiamo qua, muoviti!!!» e si gettarono giù dall’autobus.
«Brutti stronzi! Venite qua che vi gonfio di mazzate!»
«Corri, corriiiiiiiiii!!!»
Una volta scampato il pericolo alla fine Yuzu doveva ammettere sempre la sconfitta.
Alla fine il piccoletto aveva ragione. E l’avventura finiva con un: «Tu sei matto…» di Dicon.
Anche questa volta avrebbe tolto qualcuno dai guai.
«Com’è scomparsa Any?»
«Reputo prematuro rivelarvelo adesso» rispose prontamente Vit.
«Perché fino ad ora questi sette custodi non sono serviti?»
«Se provassi a spiegarvelo, non sareste capaci di comprendere.»
Il secondo tentativo fallì come il primo. Dicon non si diede per vinto.
«Come fate ad essere certi che uno dei sette sia fra di noi?»
«Questo quesito è rispondibile. Emmy, il capo del continente di Pomidike, è un Lupo Virtuale, una categoria di Others particolare, che le permette di possedere caratteristiche sia dei Virtuali sia dei Lupi. Non è la sola. Miami e Minami, le guardiane delle Rovine di Ghiaccio del palazzo del Principe Lion nella Terra dei Lupi appartengono alla sua stessa specie. Questo trio di Lupe Virtuali serviva presso la famiglia reale in veste di sacerdotesse. Custodivano per l’appunto i Sette Grandi Diademi nel Tempio della Luna Calante. Poco prima della sua scomparsa, nei momenti di agonia precedenti l’esalazione dell’ultimo respiro, il Principe Lion pronunciò le seguenti parole ad Emmy, consegnandole una missione: “Corri al tempio e va nella Camera Oscura. Lì vi troverai delle fotografie di esseri umani. Selezionane una a tua scelta. La persona che sceglierai sarà il mio erede e prenderà sulle spalle il destino di WoO. Dà vita tu al Prediletto, Emmy. Segui solo il tuo istinto. Andrà bene chiunque, mi fido di te.”»
«Allora questa Emmy sa chi è!» esclamò Rose contenta. Il viso irremovibile di Vit dava da solo la risposta. «Non è così…»
«Ma se è stato lei a sceglierlo, deve conoscerlo per forza!» sostenne l’amica Daichi. Rose non fu molto felice del fatto che fosse stato proprio lui a parlare, ma si accontentò dell’appoggio.
«Se mi lascerete l’opportunità di chiarire, comprenderete tutto.»
«Perdona la fretta, Vit. Procedi» la incitò lo stesso Daichi.
«Emmy eseguì la totalità delle istruzioni del Principe e scelse addirittura di soggiornare sulla Terra, per controllare la crescita del piccolo umano. E’ stato proprio in questa circostanza - non ci è pervenuta l’età del bambino o della bambina in quel periodo – che è accaduto uno spiacevole evento: Emmy ha subito una perdita di memoria. Non rimembra nulla del prima e l’unica consapevolezza che aveva al suo risveglio fu quella di essere un Others e le parole del principe. Dunque giudicò opportuno rincasare a WoO e controllare la situazione al tempio. Incontrò Minami e Miami, che non conoscevano della sua missione, poiché la stessa Emmy aveva deciso di tenerla segreta. Alla fine prese la decisione di dimenticare e archiviare tutto come “uno spiacevole inconveniente”.»
«Cavolo» esclamò Jake.
«Grandioso. In pratica non abbiamo nessun punto di partenza» constatò Matt.
«Per questa ragione stimo necessario ritrovare mia sorella. Any ci fornirebbe certamente particolari importanti.»
«Perché?» chiese legittimamente Maeko.
«La sua scomparsa coincide con l’amnesia di Emmy. C’è un alta percentuale che Any sappia la verità. Inoltre è uno dei Sette Grandi Custodi.»
«A proposito di loro, se i diademi erano custoditi nel tempio quando il Principe Lion era ancora in vita, perché adesso li posseggono questi sette Others?» domandò Jonas molto acutamente. Vit ci pensò un attimo su e poi disse:
«Il Principe Lion era l’unico al tempo ad esser dotato del potere di domare la forza dei Sette Grandi Diademi.»
«Ciò vuol dire che alla sua morte essi si sono dispersi e si sono diretti verso sette Others che avessero caratteri in comune con Lion» la soccorse Julay nella spiegazione.
«Ma…il prediletto era già nato allora…» dubitò Mizo.
«In realtà no. Riteniamo che quando Emmy fece la sua scelta, il Prediletto non fosse ancora stato partorito…» affermò Vit.
«…forse nemmeno generato» concluse Julay.
«E’ impossibile!» si stupì Matt. «Se non era nato, questo diadema che in teoria dovrebbe appartenergli cosa ha fatto fino al momento della sua nascita?Ha vagato per WoO?! E’ assurdo!»
«E’ uno dei tasselli che occorre ricostruire insieme» terminò sconfitta Vit.
Dopo ciò calò il silenzio.
Soh tirò l’orlo della maglietta di Matt.
«Mh?»
«Ho fame» si lamentò il bambino.
GROWL. Finalmente lo stomaco di ognuno aveva ricevuto l’attenzione che meritava.
«Direi che non è l’unico…» ebbe l’ardire di scoperchiare la verità Chiyuki.
«Ora ti cucino qualcosa, ok?» lo rassicurò Matt. Rivolgendosi poi a Vit e Julay: «E’ possibile cucinare qui?»
Con un solo schiocco di dita Vit, come per la Ruota Magica, fece comparire dal nulla un palazzo sulla destra.
«In quell’edificio potrai trovare tutto ciò che ti è necessario per preparare la cena ai bambini.»
«Matt, già che ti trovi, cucina per tutti!» lo pregò allegramente Jeremy.
«Ma siete un esercito! Facciamo prima se cucinano più persone.»
«Le vettovaglie che utilizzerai sono incantate: basta inserire gli ingredienti per uno solo, per dar da mangiare ad un numero infinito di persone» ribatté Vit, compiaciuta nel riscontare sui volti dei ragazzi tanta incredulità.
Matt fu costretto a cedere.
«E va bene! Va bene! Cucino io.»
«Yuppyyyyy! Stasera si mangia al ristorante!» urlarono felici la band e i bambini.
Matt entrò nel portone e si accinse a salire per la scalinata dell’edificio. Arrivato al quarto piano si fermò: aveva il fiatone per sole 8 rampe di scale! Aprì la porta che aveva sulla destra ed entrò: un appartamento in stile occidentale gli si aprì dinanzi. Era nel soggiorno. Due divani, uno poggiato al muro, l’altro posto a centro sala, attorno ad un tavolino, di fronte ad una tv a plasma enorme; alle spalle del divano centrale un lungo tavolo, nel cui mezzo troneggiava un grosso vaso di rose. Sulla parete in fondo un enorme biblioteca a muro, piena di libri di medicina. Un salotto sconosciuto.
Sempre sulla destra aveva un ingresso: la cucina. Era bianca, con un piano cottura sul grigio e il forno dello stesso colore. Un tavolo per 4 persone si trovava al centro della stanza; sulla sinistra un televisore e il frigorifero, mentre all’opposto c’era un balcone. Matt corse immediatamente ad aprirlo e uscì sul terrazzino: dava in un cortile interno di un grosso palazzo. Sconosciuto. Ai balconi altrui, sugli stendini, erano appesi accappatoi, mutande e altre tipologie di vestiario. Era impossibile che quelle case fossero abitate. Iniziò a pensare che in realtà quel balcone affacciasse in un’altra dimensione.
Rientrò nella cucina, non poco confuso, e rimboccandosi le maniche, si diede anima e corpo alla cena. Prese a sbirciare nella credenza e nel frigo che alimenti ci fossero. Trovò una vasta scelta di verdure e decise di preparare un brodo con la semola. Janet lo cucinava spesso; quando da piccolo trascorreva lunghi periodi di ricovero in clinica, capitava che almeno due o tre volte lo mangiava. Era un fanatico del semolino e, dato che si divertiva a infondere nei bambini un po’ delle sue manie, aveva inculcato loro la passione per questo alimento. Yuri sosteneva che la semola assomigliasse alla neve, mentre Aki la riprendeva dicendo che casomai era ghiaia. Soh nel suo piccolo la reputava una pietanza regale, perché era come un re che si sentiva quando la mangiava; Mya invece avrebbe tanto voluto contarne tutti i granelli. Mattias e Bryan dal canto loro si sentivano fortunati, perché abitando sullo stesso pianerottolo di Matt, quando erano a casa e lui li invitava a cena, se la facevano cucinare sempre. Hime era l’unica che non la preferiva molto, ma la mangiava comunque, perché un qualcosa fatto da Matt non lo avrebbe rifiutato per nulla al mondo: l’affetto del ragazzo era il suo piatto preferito.
«Vuoi una mano?». Rose fece capolino dallo stipite della porta.
«No, grazie del pensiero» rifiutò Matt gentilmente.
«Ok» acconsentì lei e si sedette al tavolo. Gli fissava le spalle. Era dimagrito?Le sembrava di sì.
«Cosa stai mettendo su?» gli chiese incuriosita. «Sento un buon odorino.»
«Semolino in brodo vegetale. Alimento sano per i bambini.»
«Buono! Lo mangiavo spesso da piccola» esclamò.
«Mi dispiace che gli altri ne rimarranno scontenti. Penso che si aspettino chissà che piatto elaborato e invece è solo semola» constatò Matt, molto poco dispiaciuto.
«Ahahah…penso che con la fame che hanno, andrà bene qualsiasi cosa purché sia commestibile!». Matt annuì silenziosamente. Rose era però decisa a non far cadere la conversazione. Era salita con un solo intento: trovarcisi da sola per interrogarlo. Troppe novità si erano presentate ai suoi occhi.
«Matt?»
«Sì?»
«Posso farti una domanda?»
«Sì.»
«Anche se potrà sembrarti indiscreta?»
«…Sì.»
«Bene. Ecco…Tu e Sakura siete fidanzati?!»
«Non so perché, ma avevo il sentore che la domanda fosse questa!» sbottò lui.
«Ops! Sono stata prevedibile!» si imbarazzò lei.
«Ma no! Ahahahah…» rise. «Comunque no, non siamo fidanzati.»
«Ah! Ah. Ma…mi sembrate…intimi.»
«Lo siamo.»
«Ah.»
Di nuovo silenzio.
«E con Jeremy?! Tra te e Jeremy cosa c’è?! Per un attimo ho pensato fossi diventato gay, ma non può essere assolutamente» cercò di autoconvincersene.
«Sarebbe così strano?»
Rose rimase spiazzata.
«Sei gay?» chiese spontaneamente.
Matt posò il mestolo e si girò. La guardò e…scoppiò a ridere.
«Ahahahahahahah…Oddio! Ahahahahahah…Mi fa male la pancia dal ridere, ahahahahahah…»
«Che cavolo ti ridi?! Stupido!!! Mi hai fatto prendere un colpo!» si infuriò Rose, facendo smorfie disperate col viso.
«Ahahahaha…La tua faccia era troppo divertente! Ahahahahah…»
«Che paura…! Pensavo ti fossi tolto dalla piazza.»
«Eh?!»
«Niente, niente!». Che imbranata. Si stava per far sgamare.
«Il rapporto tra me e Jeremy è complicato da spiegare, però penso che conoscendoci e vedendoci insieme, ne comprenderai anche tu la natura.»
«Ma quanto sei misterioso…» si lamentò un po’ lei, contenta comunque che non fosse passato “del tutto” all’altra sponda.
«FINE!» gridò Matt, stiracchiando le braccia. «Mi aiuti a portarlo giù?»
«Sicuro!!!»
Nel frattempo, nello spiazzato antistante la Ruota, si era imbandita una tavola enorme. Apparecchiata di tutto punto, aspettava soltanto di impregnarsi del buon odore del cibo e di macchiarsi a causa di qualche sbadatello. Matt e Rose servirono la cena e sebbene a primo impatto nessuno rimase colpito in maniera positiva dalla consistenza del cibo, dopo il primo assaggio si ricrederono tutti.
«Matt è buonissimo!» esclamarono Renji e Yuzu insieme.
«Impeccabile come al solito» commentò Julian.
«Suquishito» si complimentò il piccolo Mattias, mentre un cucchiaio enorme di semolino gli veniva imboccato dal fratello.
Matt sorrise.
Jeremy gli fece segno di venirsi a sedere vicino a lui, battendo due volte la mano sulla sedia. Tutto saltellante, prese posto accanto all’amico e attaccò la sua porzione.
«Mi raccomando, mangialo tutto» gli sussurrò Jemy nell’orecchio.
Matt fece di sì con la testa, impossibilitato a pronunciare sillaba, data l’enorme cucchiaiata che si era ingurgitato. Jeremy ridacchiò e gli accarezzò i capelli.
La giornata intensa stava per volgere al termine.

* * * * *




Mea si tolse la sua tunica interamente blu. Lunga, con una cerniera sul davanti dal pendente a forma di luna, aveva un cappuccio e assomigliava molto ad un giubbotto alla Matrix, come si usa spesso dire quando ci si trova davanti un cappotto di dimensioni fuori dal normale. Sotto era solito indossare una maglietta blu con le mezze maniche, ma senza troppo impegno: non aveva modelli chissà quanto complicati, prediligeva la semplicità e il colore unico era il suo preferito. Per la tinta, poi, non c’era bisogno di scervellarsi troppo: il blu andava benissimo.
Si mise su il pigiama, sempre blu, con delle lune gialle cucite su da Pinku, la sua donna. Anche Pinku era un Colore e abitava la bella e serena Laguna Rosa. Mea andava a trovarla raramente, a causa di impegni improrogabili che aveva e situazioni sconvenienti che avrebbe preferito evitare; però tutte le volte che riusciva a farle una capatina, trovava sempre ad attenderlo regalini vari. Sciarpe blu, maglioncini di lana blu, berretti blu, pigiami blu, calzini blu. Ma anche accessori vari, come orecchini o anelli. Regali di questo genere insomma.
Mea non era mai riuscito a comprendere se il sentimento che lo animava fosse di una natura differente dall’amore. L’aveva sempre considerato tale, nonostante spesso sentimenti dello stesso genere lo avevano spinto ad avvicinarsi a Pura più del consueto. Pensava fosse la distanza a rendere fragile il suo rapporto con Pinku. La distanza con il ticchettare dell’orologio non va molto d’accordo. Tendono a rincorrersi, a ferirsi, a sporcare ciò che sta loro intorno con insicurezze e bisogni, probabilmente non sussistenti se si fosse stati vicini. Per quanto ci si dice di stare l’uno accanto all’altro, per quanto si provi a dimenticare che esistono chilometri in linea d’aria invalicabili, per quanto si cerchi di compensare il vuoto con materia invisibile, fatta di voce, di paesaggi, di ricordi, niente potrà mai darti lo stesso sollievo di un abbraccio fatto di braccia. Di una carezza fatta da mani. Niente potrà alleviare quel senso di smarrimento che la lontananza dalla persona amata comporta. Come consolarsi allora?La distanza è come una boa: galleggia, lontana dalla riva; galleggia e mai le si avvicina. E’ legata al fondo del mare con una lunga fune, legata ad uno scoglio. Legata a qualcosa di fragile che col tempo potrà sempre erodersi e lasciarla sfuggire. Ancora più lontana dalla riva. Sempre più distante dalla sua salvezza. Dalla sicurezza di uno scatolone sulla terraferma. Lì, con le onde che con fierezza la sospingono, osserva la sua agognata riva e spera che null’altro le separi oltre a quelle braccia di mare. Non lasciarmi. Tienimi incatenata a te. Non svanire dai miei occhi. Non scomparire dal mio cuore. La distanza è fatta di promesse e speranza. Fatta di sospiri. Fatta di silenzi. Di negazione della verità. “Non voglio farla preoccupare”. “Non voglio farlo preoccupare”. E taccio. L’amore si nutre di sospiri, quante volte Mea l’aveva letto in quelle riviste fregate dal mondo terrestre. Ma lui sospirava così spesso?
Mentre posava la tunica nel piccolo armadio in camera sua, iniziò ad elaborare un discorso che avesse un senso per arrivare subito al succo della questione. Poteva partire dal perché al tempo gli avesse proibito di scorazzare fra le betulle del bosco al di là del monte. O forse iniziare dalla causa effettiva, senza girarci troppo intorno, sarebbe stato più efficace.
«Che mal di testa…»
«Non stare a confonderti troppo» gli suggerì Pura, abbracciandolo dolcemente.
«Vederti così quieta, mi inquieta.»
«Pessimo gioco di parole» ribatté lei infastidita dalla sua meraviglia. Sapeva di non essere un carattere facile da domare o di non essere troppo accomodante, ma quando ci si metteva di impegno riusciva ad esprimere un calore non comune ai più. E si stava giusto impegnando. Sebbene all’inizio della loro conoscenza era stata dispettosa, diffidente, scontrosa, ad oggi vedeva in Mea l’unico spiraglio di luce nell’oscurità della sua vita. Un’unica ossessione: vendicarsi. Non c’era spazio per nient’altro. Vendetta. Mea riusciva a donarle una speranza di vita futura. Insieme a lui, potrò ricominciare. Assolutamente no. Per i vendicatori non esiste futuro. Mentre elaborava un piano per portare a compimento la sua missione, nello stesso istante le sue rotelle si mettevano in moto lentamente creando un cosmo di se. Se sopravvivessi. Se mi unissi a lui. Se potessi stendergli per sempre il bucato. Se mi carezzasse sempre tra le treccine. Se mi si rivolgesse sempre in tono tranquillo. La vita non si costruisce con i se, questo lo sapeva bene; per questa ragione ormai chiudersi a riccio, facendo l’istrice, le sembrava una soluzione meno dolorosa.
Mea la ignorò: aveva imparato bene a convivere con la sua lunaticità. Andò nell’atrio della caverna, dove aveva allestito un cucinino e una sala da pranzo molto, ma molto alla mano. Kid era seduto al tavolo.
«Certo che mi stai facendo proprio la posta, Kid!» scherzò.
«Su spara!»
«Calmati. Tieni: prenditi un’aranciata! L’ho comprata prima sul…»
«Quand’è che sei passato sulla Terra, scusa?»
«Uffa! Ma mi controlli?! Bevi e stai zitto!» si infuriò Mea. Kid lo squadrò, per esaminarlo bene. Non lo convinceva affatto quell’atteggiamento agitato. Bevve.
«Spuuut! E’ AMARA!» esclamò disgustato, cacciando la lingua e facendo una smorfia a dir poco allucinata. «Ma che schifo di marca è?!»
«L’ho presa in un distributore. Pensavo fosse buona, dato che la fila era piena» tentò di giustificarsi Mea.
«Non ti è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che potessero esserci tante bottiglie proprio perché tutti sanno che fa schifo?!»
«Uffa! La bevo da solo, dammi qua!»
«Others convinti di conoscere la Terra quando non ne hanno mai capito un tubo» sentenziò il lupo.
«Veniamo al punto…» cercò di cambiare argomento Mea con una non perfetta nonchalance, posando l’aranciata in frigo (altro oggetto fregato dalla Terra), convintosi anche lui della sua dubbia qualità e del suo insopportabile gusto. «Selene si sta muovendo.»
Il viso di Kid si rabbuiò nell’immediato. Mea continuò:
«Per quanto ne so e per quello che sono riuscito a captare nell’ultimo consiglio, Julay è ad Omega con Vit. Selene deve aver percepito qualcosa, quindi ha fermato l’azione dei Cilindri della Vita. Ormai credo sia in funzione solo quello di Sangue per resuscitare Red…»
«Julay è ad Omega?! E per quale assurdo motivo si trova lì?!» Kid era sconvolto. Gli era sfuggito qualcosa di davvero grosso durante questo periodo d’attesa.
«Non chiedermelo, che non ne ho la men che minima idea. Sta di fatto che ormai qui tutti agiscano senza interpellare gli altri; con ciò mi sento legittimato ad operare anch’io senza consultare il consiglio. Ma arriviamo al bosco.»
«Sì.»
«Omega si è fermato. Sta gravitando sul bosco proprio ora, mentre noi parliamo.»
«COSA?!»
«Vi ho sempre raccomandati di evitare il bosco di betulle dietro la Montagna Blu per una ragione molto semplice: lì esiste un varco di collegamento con Omega.»
Pura e Kid avevano gli occhi sgranati.
«Il punto adesso è che Omega non vaga più, bensì si è fermato proprio lì. L’unica deduzione che mi viene lampante è che vossignoria Vit abbia ospiti, ma non riesco decisamente a capire chi. Avete idee?»
Kid ci mise un solo minuto per elaborare l’entità dei soggetti in causa e decidere il da farsi, che schizzò fuori dalla grotta in fretta e furia, come se uno sciame d’api lo stesse rincorrendo.
«KIIIIIIID!» gli urlò dietro Pura. «DOVE VAI IDIOTA?! FERMATIIIII! Lasciami Mea, ti prego, devo impedirgli di andare…Lasciami!»
Mea fece di no col capo. La rabbia di Pura, che aveva fissato i suoi occhi infuocati in quelli del Colore, scemò lentamente. La preoccupazione si stava facendo largo nel suo cuore.

* * * * *




11 anni. 11 lunghi anni. In un paese diverso. In una famiglia diversa. Lontana da loro. Lontana da lui. 11 lunghi, lunghissimi anni.
Se guardava indietro e provava a riflettere sulle scelte e le decisioni prese in quegli 11 anni, si rendeva subito conto che aveva vissuto in funzione di quel giorno. Solo per il giorno del suo ritorno a casa. Anche se forse quella non sarebbe ritornata ad essere così facilmente casa sua.
Voleva rivederlo.
Aveva ripensato molto al giorno in cui l’avrebbe rivisto. Ci aveva fantasticato sopra tante volte. Se lo immaginava bellissimo, coi suoi biondi capelli e suoi occhi blu che trafiggono.
Voleva rivederlo.
Si ricordava di quando la spingeva sull’altalena nel parco di fronte casa, cercando di farla arrivare fin dove le catene che tenevano legato il sellino permettevano, per consentirle di assaggiare il brivido di volare.
Voleva rivederlo.
Sullo sgabello per raggiungere il lavello, data la sua bassa statura dovuta alla giovane età, parlava con il riflesso di lui nello specchio e gli diceva: «Da grande voglio sposare Matt!». Il sorriso conseguente alla proposta di matrimonio era ciò per cui lei viveva all’epoca.
Voleva rivederlo.
Mentre giocava con le bambole, si distraeva a guardarlo studiare. La linea del suo collo le piaceva molto. Pensava fosse davvero bello e si imbarazzava.
Aveva comprato il biglietto aereo di sola andata. Non esisteva più niente che la legasse a quel luogo. Lee era morto. I suoi presunti genitori erano morti. Tutti nello stesso incidente. Perché restare lì?Niente la tratteneva in quel paese.
Biglietto di sola andata. Destinazione Matt.
«Aspettami…»
 
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