Il Giglio, racconto in più parti

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=Urahara=
CAT_IMG Posted on 6/11/2010, 02:32     +1   -1




Salve amici, ricordandomi di un'ispirazione avuta qualche giorno fa :uhuh: ho deciso di iniziare a scrivere questo racconto, un racconto breve di mistero e noir con chiara ispirazione alle opere di E. A. Poe :sese:
In questo topic posterò il racconto in pezzi, siete liberi di commentare ogni pezzo come volete (anzi vi invito a farlo :sasa:) , fate pure domande se ritenete di averne bisogno. -_- Grazie per la vostra attenzione.
CITAZIONE
Era una soleggiata mattina di Ottobre quando, arrivando di buon ora in redazione, consegnai al mio editore l'articolo per la rubrica settimanale dedicata ai casi insoluti ancora giacenti nei polverosi archivi della magistratura bolognese. Commentando lo scritto, il signor D (il direttore appunto) non mancò di lamentare la solita asprezza del linguaggio e la “brutalità” degli argomenti trattati; egli non voleva ammettere che proprio quell'asprezza e quella scelta di argomenti a suo dire “brutali”, sollecitava nei nostri lettori una viva curiosità.
Curiosità, la quale aveva subito fatto salire la richiesta per il nostro inserto, che da mensile, divenne settimanale dopo appena un anno e mezzo dal mio arrivo in redazione.
In realtà lavoravo già da diverso tempo per questo giornale locale, ricordo che iniziai proprio poche settimane dopo il mio arrivo a Bologna, nell'invero del 18**. Inizialmente fui assegnato come assistente al miglior giornalista di cronaca investigativa della redazione, passavamo giorni a spulciare ed analizzare ogni dettaglio delle indagini della polizia cittadina; il signor B, era un giornalista instancabile, dall'entusiasmo contagioso, quando arrivava al lavoro nonostante il suo aspetto trasandato, riusciva a scuotere gli animi dei colleghi, infervorandosi in discorsi su moventi e ricostruzioni di questo o quel caso alla ribalta della cronaca cittadina.
Credo, a ragione, di aver ereditato, dal signor B, lo stesso entusiasmo e lo stesso metodo di lavoro.
Fui proprio io infatti, ispirato dalla mole di indagini che svolgevamo insieme, ad avanzargli la proposta di aprire la rubrica mensile, in questo modo avremmo potuto dedicare molto più tempo a quell'attività che ormai aveva preso possesso di ogni attimo delle nostre giornate, di ogni fibra del nostro essere.

La proposta di B al direttore (il signor D) inizialmente non fu presa troppo sul serio, in particolare D era preoccupato più per i costi che per la scelta degli argomenti proposti; tuttavia si convinse a fare un tentativo con l'arrivo dell'estate.
Fu così che nel Giugno del 18** uscì il primo numero della rubrica “Crimini Insoluti”, mi fece sorridere il fatto di vedere tante persone che sotto gli afosi pomeriggi cittadini, divoravano (letteralmente) le poche pagine del nostro inserto. Sta di fatto che avemmo successo. D ci riconobbe il merito di aver aumentato la tiratura del nostro giornale, furono assunti altri due giornalisti per l'inserto ed io fui promosso a vice del signor B; a quel tempo non potevo sperare in una migliore evoluzione per la mia carriera giornalistica.
Purtroppo non tutto può andare secondo piani ben prestabiliti, è una strana legge di natura, ancor più strana e beffarda considerando ciò che avvenne nove mesi dopo la nascita di “Crimini Insoluti”.
Una sera del Marzo del 18**, sotto la porta della propria abitazione, fu trovato morto proprio il signor B, sicuramente assassinato secondo le forze dell'ordine, ma qui finisce ogni certezza.

Un caso irrisolto, ironica fine per un uomo che aveva dedicato la sua carriera, la sua vita, nel perseguire la chiarezza in questi misteri tanto macabri quanto affascinanti. Anche se in principio temetti un contraccolpo nelle vendite del mensile, dovetti subito ricredermi quando, G, uno dei nuovi giornalisti assunti per la rivista, compose uno splendido articolo che trattava proprio della morte del nostro superiore.
La risposta del pubblico stupì non solo me, ma anche il resto della redazione del giornale, in quanto si riscontrò un enorme aumento nelle vendite, quasi la tragedia e la brutalità del gesto efferato avessero attirato i lettori, come vermi su una carcassa. D mi nominò subito nuovo direttore del mensile, il che comportava non solo un aumento nella busta paga, ma anche una sostanziosa quantità di ferie pagate in più. Con tutto questo tempo e denaro a disposizione non fu difficile per me, dedicarmi ad altri progetti sempre inerenti alla cronaca investigativa e giudiziaria.
Il mio spirito indagatore mi spronò a spingermi al di fuori dei confini bolognesi, per esplorare i misteri a livello regionale e nazionale; nei momenti di pausa dalle mie attività alla rivista mi dedicavo alla lettura di fascicoli dedicati ai casi irrisolti entro i confini nazionali, attività che tutt'ora porto avanti senza ricusare alcuna fiacchezza.
Recentemente avevo anche acquistato una piccola casa, sulle colline della mia città natale Cesena; l'aria di campagna aveva un forte potere rigenerativo per me e cercavo, ad ogni periodo di pausa dal lavoro, di recarmici molto spesso; la consideravo come un rifugio dalle fatiche della città. Inoltre proprio in quel periodo, ero venuto a sapere che il mio caro amico d'infanzia E era divenuto capo della polizia cittadina.
Subito dopo la sua promozione non potei fare a meno di mettermi in contatto con lui, in primo luogo per complimentarmi con lui per l'avanzamento in carriera; in secondo luogo per allacciare un legame con la mia passione per i misteri cruenti e “brutali”. Fortunatamente non fu difficile, io ed E siamo sempre stati in buoni rapporti e in fondo per lui la presenza di una figura amica durante le sue investigazioni, ha sempre avuto un effetto positivo.

Fu così che anche per l'Ottobre di quell'anno decidemmo di passare del tempo insieme: io avrei raggiunto la città verso la metà del mese, sapendo che laggiù mi avrebbero aspettato altri casi per saziare la mia mente desiderosa di risposte.
Il viaggio in treno non fu particolarmente stancante, dopo circa un'ora e mezza di viaggio ero già sceso alla stazione di Cesena e pronto ad attendermi lì c'era il mio amico E. Al vederlo mi si riempì il cuore di gioia, erano diversi mesi che i nostri impegni ci tenevano separati e tutti e due sentivamo il bisogno di una bella rimpatriata.
Col suo solito impermeabile color noce, sopra un gessato grigio con cravatta rosso fuoco, E mi salutò con un caloroso abbraccio; non potei però fare a meno di notare che il suo aspetto era diverso dal solito: pallido in viso, barba poco curata, occhiaie da poco sonno ed in generale un portamento dimesso, non esattamente come ricordavo di averlo lasciato all'inizio dell'estate.
Alla mia domanda preoccupata sulle sue condizioni di salute, E mi rispose con uno dei suoi soliti sorrisi un po' sprezzanti; fin dall'infanzia dotato di costituzione robusta, è sempre stato un tipo gioviale e di buona compagnia, molto abile nel nascondere (anche agli amici più intimi) ogni minima ombra sul suo animo. Eppure in quell'occasione non potei fare a meno di notare che c'era qualcosa in lui che lo aveva prosciugato della sua caratteristica bonarietà.
<<non mi sembri molto in forma oggi caro E, cosa c'è che non va?>>
Ero sinceramente preoccupato per lui
<<le solite cose, sai, il lavoro è piuttosto impegnativo e l'arrivo dell'inverno sembra aver risvegliato strani spiriti>>
<<non capisco di cosa tu stia parlando, a dire il vero trovo piuttosto strano sentirti parlare in questo modo, ora ti dedichi ai misteri del paranormale?>>
Quella domanda lo fece sorridere e al tempo stesso tremare, si strinse nel cappotto, mi prese sotto braccio e mi condusse fuori dalla stazione con una certa fretta
<<in verità, c'è un non so che del tuo cosiddetto “paranormale” in città>> la sua espressione si fede cupa <<ho un caso per le mani che non vuole saperne di essere sciolto, è un vero rompicapo>>

La mia mente si mise subito in moto pronta a cogliere ogni minimo dettaglio della vicenda che angustiava il mio caro amico, se mai c'era qualcosa di così misterioso ed insolubile da impegnare a tal punto un abile ispettore come E, allora doveva essere qualcosa di grosso.

 
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=Urahara=
CAT_IMG Posted on 14/11/2010, 01:50     +1   -1




Secondo breve capitolo della storia, ne seguiranno altri :asd:
CITAZIONE
La carrozza ci portò sul luogo dove si era consumato il crimine, per tutto il tragitto l'amico E non proferì parola. Lo scalpiccio dei cavalli sul selciato si fece più morbido quando abbandonammo la strada cittadina, guardando fuori dal finestrino della vettura, notai le colline di poco distanti che si facevano via via più vicine, una leggera nebbia invernale (tipica delle colline romagnole) attraversava a banchi il paesaggio circostante, dando al panorama generale un'aria a dir poco tetra. Riconobbi la strada quasi subito. Era la stessa che fin da ragazzo percorrevo per andare a trovare i miei nonni in campagna, portava a Carpineta, una piccola comunità di contadini raccolti intorno a qualche casolare ed una chiesa e circondati da campi coltivati, frutteti e allevamenti; la carrozza si fermò in prossimità di una casa colonica: a due piani e dall'aspetto trasandato, di certo ai suoi possessori non doveva importare molto dello stato delle cose lassù.

Sul posto c'erano due agenti a presidio dell'ingresso, vedendo avvicinarsi E si scostarono ed uno di loro ci fece strada, appena passato il cancello di ferro che portava sul breve vialetto della casa colonica, avvertii come un senso di timore, inoltre avevo come la sensazione che qualcuno (o qualcosa) mi osservasse da dietro la fitta vegetazione, per lo più composta da salici, che adornava il vialetto. Fu per un attimo, breve quanto un battito di ciglia, che quasi sentii un sospiro all'orecchio, come se qualche invisibile presenza volesse comunicare con me. L'ispettore E, intanto, era già andato avanti verso la porta d''ingresso
<<che ci fai ancora laggiù? Non restare indietro>> mi chiamò voltandosi verso di me
<<siamo arrivati, è avvenuto qui>> e togliendosi il cappello mi fece segno di entrare in una stanza a destra a pochi metri dal corridoio situato subito dopo la porta d'ingresso.

Lo spettacolo che mi si presentò davanti aveva tutti caratteri dell'orrido e del grottesco: il sangue, ormai raggrumato ed annerito, insozzava le pareti della stanza in maniera massiccia, come se qualcuno lo avesse lanciato da un secchio, l'armadio era mezzo distrutto, con un'anta aperta, mostrando all'interno abiti di foggia femminile, semplici ma eleganti. L'altro mobilio, un cassettone ed un comodino erano pressoché intatti, uno specchio situato sulla parete sinistra rispetto alla porta della stanza presentava una netta frattura, come se qualcuno ci avesse sbattuto contro qualche oggetto pesante, c'erano anche tracce di sangue.
Il letto (evidentemente era una camera da letto) che occupava quasi tutto il lato destro della stanza era in completo disordine, le lenzuola gettate a terra quasi per intero, i cuscini assenti ed un corpo riverso su una pozza rossa con la schiena martoriata da segni di coltello. Le fattezze del cadavere erano ancora integre, la persona in questione era una donna non particolarmente alta: sui vent'anni all'incirca, anche dall'aspetto complessivo appariva quasi più una ragazzina, magra, carnagione (quel poco che traspariva dal lago di sangue) leggermente scura, capelli lunghi color castano scuro, sollevando la testa il volto non presentava segni di violenza, gli occhi, anch'essi castano scuri, erano spalancati quasi ad esprimere la sorpresa, o l'orrore che avevano attraversato la vittima negli ultimi momenti di vita. Rimasi rapito da quello sguardo inanimato, come fossi perso in un labirinto di sogni terribili e fantastici, c'era un non se che di inspiegabile nascosto dietro quell'iride ancora immacolato, una verità che ancora oggi mi atterrisce.
Tornando ad analizzare il corpo nella sua interezza, le braccia erano distese lungo i fianchi, chiaramente poste così dall'assassino, nella mano destra la vittima stringeva un giglio.
Questo fatto singolare scatenò in me più che una sorpresa, un senso di disgusto, il chiarore del bianco giglio, così puro in mezzo a questo spettacolo da macelleria, erano per me irrazionali, ed inspiegabili...quel giglio, lo fissai perdutamente per interminabili attimi cercando di coglierne chissà quale segreto, ma, ahimè, ancora non potevo capire in quali oscuri meandri della mente umana mi ero addentrato.

Il mio amico, gettato un rapido sguardo a quel teatrino degli orrori, mi mise una mano sulla spalla ed io, trasalendo, gli rivolsi uno sguardo che non doveva essere molto rassicurante. Con aria preoccupata mi fece segno di uscire, ed insieme tornammo verso il vialetto all'esterno del casolare; mi sedetti sotto uno dei tanti salici del giardino antistante l'ingresso con la faccia tra le mani, ero certo sconvolto da ciò che avevo visto, ed ancora oggi nel ricordare gli avvenimenti di quei giorni, non c'è momento in cui non provi ancora un brivido attraversare il mio corpo ed insinuarsi nella mia mente, una sensazione difficile da scacciare.
Tuttavia, E avvertito il mio disagio mi si avvicinò per tranquillizzarmi
<<È la prima volta che una tale efferatezza viene alla luce in questa regione>> esordì, poi vedendomi ancora sconvolto e con lo sguardo fisso sul suolo
<<forse è meglio se andiamo a prendere un po' d'aria, e magari qualche bicchiere di buon vino, vieni, conosco una buona locanda vicino alla chiesetta>>
Salendo ancora un poco con la carrozza, arrivammo al paese vero e proprio, sulla piccola piazzetta di Carpineta, si affacciavano tutte le cose di cui un abitatore della campagna aveva bisogno: una chiesa ed una locanda.

Prendemmo posto all'aperto incuranti dell'aria gelida che si stava approssimando con l'arrivo della sera, l'oste intuendo le intenzioni del mio amico, ci portò due bicchieri e lasciò una bottiglia di rosso, ci servimmo da soli.
<<la ragazza>> esordì E <<è una certa V, una servetta che lavorava per la famiglia Ricci, i proprietari del casolare, i suoi compiti erano di badare alla casa e ai bambini quando la signora non c'era, non aveva né un compagno, né amici quassù>>
<<nemici?>> replicai
<<figuriamoci se una ragazza di quel genere, ne potesse avere>> un sorriso sardonico attraversò il volto dell'ispettore, quasi a sottolineare l'assurdità della mia domanda
<<quale pensi possa essere il movente allora, e soprattutto, perchè mi hai portato qui?>>
Una domanda che mi sembrava giusto apporre, visto che, in effetti, non avevo alcuna relazione né con la vittima in questione, né con le operazioni d'indagine...almeno fino a quel momento.
<<mi serve il tuo aiuto>> disse secco <<finchè non riusciremo a capire il perchè di questo gesto, non potremo seguire una vera e propria pista nelle indagini>>
<<l'assassino non ha lasciato una qualche traccia o indizio sulla sua natura?>>
<<si è guardato bene dal farlo, non ci sono segni di effrazione in nessuna delle porte, nessuna arma del delitto rinvenuta, nessuna traccia di capelli o altro che fosse estraneo in quella stanza>>
<<a parte il giglio>> dissi quasi a bassa voce <<che cosa?>> mi chiese E che evidentemente non aveva udito
<<il giglio che aveva in mano la vittima, quello mi sembra di certo alquanto estraneo>>
<<in effetti...ma è l'unica traccia, e devi ammettere che non è di molto aiuto>>

Rimanemmo in silenzio ad approfondire le nostre congetture per diversi minuti, intervallando il pensare a sorsi di vino, poi venuta la sera, tornammo verso la città.
Trovai alloggio presso una rustica locanda poco distante dal centro, in questo modo sarei stato facilmente reperibile dal mio amico ispettore, augurandomi un buon sonno, E si congedò verso le 21:00.

L'aria che filtrava nonostante la finestra chiusa faceva rabbrividire ogni parte del mio corpo, nonostante il letto fosse caldo e le coperte abbondanti, non riuscivo a trovare conforto dal fredde della notte.
D'un tratto uno schiocco furioso s'accompagnò ad un lampo di luce fuori dalla finestra, in preda allo stupore mi fiondai alla finestra, mi sentivo pesante e goffo coperto sulle spalle con le coperte; non sembrava essere nulla di chè, la città era tornata ad essere inghiottita dalle tenebre e forse io ero il solo quella note che si trovava ad osservare la vita notturna di Cesena, spiando dalla finestra di una locanda.
Cercando di rinfrescarmi un attimo il viso, mi diressi verso la bacinella, versai un po' d'acqua dalla brocca e immersi le mani. Il contatto dell'acqua fredda con la pelle mi schiarì la mente anche se al tatto sembrava più densa e quasi appiccicosa, alzando gli occhi allo specchio trasalii d'orrore nel vedermi la faccia sporca di sangue, il liquido rossastro gocciolava ancora dalle mie mani quando mi accorsi di avere all'occhiello del mio pigiama un fiore d'un bianco splendente...un giglio.
La sorpresa duro ben poco, il riflesso di una lama levata da una figura oscura era apparsa allo specchio, era alle mie spalle, mi aveva raggiunto, era già troppo tardi. Il coltello si abbassò con uno scatto fulmineo, poi fu il buio.

Mi svegliai con gli occhi spalancati di puro terrore, il sudore scendeva dalla mia fronte per tutto il collo fino al petto dove il cuore batteva all'impazzata. Ansimando cercai di rendermi conto di dove mi trovassi, luci spente, un letto, delle coperte, accesi una candela appoggiata sul comodino di fianco al giaciglio.
La mia stanza, era in perfetto ordine, la fioca luce della candela non rivelò nulla di anormale intorno a me, ancora tremante mi levai in piedi,e con timore mi rivolsi allo specchio paventando che gli attimi onirici appena vissuti non fossero che un tetro preludio di una realtà ancor peggiore. Niente, tutto normale, niente sangue, niente lame o figure nascoste nell'oscurità, solo un inquietante senso d'angoscia che mi strinse il petto per tutta la notte.
Non chiusi occhio.

Un sole pallido s'affaccio alla finestra della mia camera e con esso un insopportabile picchiettio all'uscio. Con l'aspetto sfatto di una notte insonne aprii e mi sorpresi nel vedere E che mi aspettava di così buon mattino (a memoria mia non era mai stato un mattiniero)
<<tutto bene? Hai un'aria distrutta, non hai dormito bene?>> mi domandò preoccupato
<<a dire il vero non ho dormito affatto, il dio del sonno a volte gioca brutti scherzi>>
<<l'insonnia non ti ha privato della tua ironia, ma ora forza vestiti,>> disse con una certa foga <<abbiamo una traccia e mi serve che tu sia pronto il prima possibile>>.

 
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